Per l’inaugurazione della mostra del 24.8.2003
Dottore Luigi Taddei, medico chirurgo, amico della artista
Ho incontrato Erminia Fritsche per la prima volta circa 20 anni fa.
Era una donna piccola di statura, con le spalle leggermente ricurve in avanti, dall’aspetto fragile.
Aveva però un carattere forte ed era dura e critica verso se stessa. Sul volto c’era quasi sempre una espressione triste, come in una persona che doveva aver sofferto nella sua giovinezza.
Raramente passava sul suo volto un sorriso, allora quando riusciva con una battuta a mettere in imbarazzo l’interlocutore.
La sua scarsa mimica la portava ad amare le maschere.
Aveva paura di tutto e lo diceva.
Era gelosa delle sue opere, che spesso nascondeva.
Amava gli animali, gli patti, gli uccellini.
Le opere esposte sono di periodi diversi della sua attività e eseguiti con tecniche diverse.
Le sue persone sono spesso di piccola statura, fragili, con il volto raramente ben definito.
La sposa è fragile, fra persone dall’aspetto rude, la giovane con galletto sembra leggera, quasi a lievitare.
La forza la si vede nel toro, nel gallo.
La durezza nei giocatori di carte.
La paura nelle persone vicine al toro, nei gruppi di persone.
Un poco di sorriso si vede nei giovani che giocano a palla e nella famiglia giocosa.
Molti volti sono maschere.
Animali si trovano in quasi tutti i dipinti, talvolta nascosti.
La tristezza è sul volto della giovane con la ciotola vuota e in Luisa di Cadro.
Per me le opere di Erminia sono lei stessa.